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L’anello dei draghi
Morgan Rice


L’era degli stregoni #4
“Ha tutti gli ingredienti per il successo immediato: trame, contro trame, misteri, cavalieri valorosi e relazioni che nascono e finiscono con cuori spezzati, delusioni e tradimenti. Ti terrà incollato alle pagine per ore e accontenterà persone di ogni età. Consigliato per la libreria di tutti i lettori fantasy.” . –Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su L’Anello dello Stregone). “Siamo davanti all’inizio di qualcosa di davvero straordinario.” . –San Francisco Book Review (su Un’Impresa da Eroi). Dall’autrice di bestseller numero uno, Morgan Rice, e autrice di Un’Impresa da Eroi (più di 1.300 recensioni a cinque stelle) arriva il debutto di una nuova e sorprendente serie fantasy. . In L’ANELLO DEI DRAGHI (L’era degli stregoni—Libro quarto), Ravin ha circondato la capitale. Con il vile Vars al comando e con solo le maree e le mura rimaste a proteggerla, la città giace nel caos e quasi nella rovina. Resta una sola battaglia tra la sopravvivenza e la distruzione… Il ragazzo, nel frattempo, custodisce il segreto dell’assassinio del Re. Riuscirà a svelarlo in tempo e a cambiare il destino della capitale?. Devin finirà la spada incompiuta? Lenore rincorrerà il suo amore per Devin? Greave troverà la cura in tempo per salvare sua sorella? . E Nerra risorgerà per condurre un esercito di draghi?. L’ERA DEGLI STREGONI tesse un’epica storia di amore, passione, odio e rivalità fraterna; di roghi e tesori nascosti; di monaci e guerrieri segreti; di onore e gloria; e di tradimento, fato e destino. È un racconto che non riuscirai a mettere giù fino a notte fonda, che ti trasporterà in un altro mondo e ti farà innamorare dei personaggi che non dimenticherai mai. Si addice a uomini e donne di qualsiasi età. . Il libro quinto sarà presto disponibile per il preordine… “Un fantasy vivace… Solo l’inizio di ciò che promette essere un’epica serie young adult.” . –Midwest Book Review (su Un’Impresa da Eroi). “Pieno di azione… Lo stile di scrittura di Rice è compatto e la premessa intrigante.” . –Publishers Weekly (su Un’Impresa da Eroi)





Morgan Rice

L’ANELLO DEI DRAGHI




L’ANELLO DEI DRAGHI




(L’ERA DEGLI STREGONI – LIBRO QUARTO)




MORGAN RICE



Morgan Rice

Morgan Rice è autrice numero uno e oggi autrice statunitense campionessa d’incassi delle serie epiche fantasy L’ANELLO DELLO STREGONE, che comprende diciassette libri; della serie campione d’incassi APPUNTI DI UN VAMPIRO, che comprende dodici libri; della serie campione d’incassi LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA, un thriller post-apocalittico che comprende tre libri; della serie epica fantasy RE E STREGONI, che comprende sei libri; della serie epica fantasy DI CORONE E DI GLORIA, che comprende otto libri; della serie epica fantasy UN TRONO PER DUE SORELLE, che comprende otto libri; della serie di fantascienza LE CRONACHE DELL’INVASIONE, che comprende quattro libri; della serie fantasy OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI, che comprende quattro libri; della serie fantasy COME FUNZIONA L’ACCIAIO, che comprende quattro libri; e della nuova serie fantasy L’ERA DEGLI STREGONI, che comprende due libri (e altri in arrivo). I libri di Morgan sono disponibili in formato stampa e audio e sono stati tradotti in più di 25 lingue.



Morgan è felice di restare in contatto con i suoi lettori, quindi non peritarti a visitare il sito www.morganricebooks.com (http://www.morganricebooks.com/) per unirti alla sua mailing list, ricevere un libro e giveaway gratuitamente, scaricare l’app gratuita, restare aggiornato sulle ultime notizie esclusive e connetterti via Facebook e Twitter!



Selezione di lodi a Morgan Rice

“Se credi di non avere più un motivo per vivere dopo la fine della serie L’ANELLO DELLO STREGONE, ti sbagli. In L’ASCESA DEI DRAGHI, Morgan Rice ha inventato quella che promette di essere un’altra serie brillante, immergendoci in un fantasy di troll e draghi, valore, onore, coraggio, magia e fede nel proprio destino. Morgan è riuscita di nuovo a produrre una serie di personaggi forti che ci fa tifare per loro a ogni pagina… Consigliato nella libreria di tutti i lettori che amano i fantasy ben scritti.”



В В В В --Books and Movie Reviews
В В В В Roberto Mattos



“Un fantasy colmo d’azione che piacerà senz’altro a tutti i fan dei libri precedenti di Morgan Rice, insieme a quelli di lavori come IL CICLO DELL’EREDITÀ di Christopher Paolini…. I fan dello Young Adult divoreranno quest’ultima opera di Rice e pregheranno per leggerne altre.”



    --The Wanderer,A Literary Journal (su L’Ascesa dei Draghi)



“Un fantasy vivace che intreccia elementi di mistero e intrigo nella sua trama. Un’impresa da eroi riguarda il coraggio e il raggiungimento di un obiettivo di vita che conduce alla crescita, alla maturità e all’eccellenza… Per coloro che cercano avventure fantasy dense di contenuti, i protagonisti, gli utensili e l’azione forniscono una vigorosa serie di incontri che mette bene a fuoco l’evoluzione di Thor da un bambino con la testa fra le nuvole a un giovane uomo che affronta circostanze impossibili per la sopravvivenza… Solo l’inizio di ciò che promette essere un’epica serie young adult.”



В В В В --Midwest Book Review (D. Donovan, eBook Reviewer)



“L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per il successo immediato: trame, contro trame, misteri, cavalieri valorosi e relazioni che nascono e finiscono con cuori spezzati, delusioni e tradimenti. Ti terrà incollato alle pagine per ore e accontenterà persone di ogni età. Consigliato per la libreria di tutti i lettori fantasy.”



В В В В --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos



“In questo primo libro fatto di azione dell’epica serie fantasy L’Anello dello Stregone (che conta attualmente 14 libri), Rice presenta ai lettori il quattordicenne Thorgrin "Thor" McLeod, il cui sogno è unirsi alla Legione d’Argento, i cavalieri d’élite al servizio del re… Lo stile di scrittura di Rice è compatto e la premessa intrigante.”



В В В В --Publishers Weekly



LIBRI DI MORGAN RICE




L’ERA DEGLI STREGONI

IL REGNO DEI DRAGHI (Libro #1)

IL TRONO DEI DRAGHI (Libro #2)

LA FIGLIA DEI DRAGHI (Libro #3)

L’ANELLO DEI DRAGHI (Libro #4)


OLIVER BLUE E LA SCUOLA DEGLI INDOVINI

LA FABBRICA DELLA MAGIA (Libro #1)

LA SFERA DI KANDRA (Libro #2)

GLI OSSIDIANI (Libro #3)

LO SCETTRO DI FUOCO (Libro #4)


LE CRONACHE DELL’INVASIONE

MESSAGGI DALLO SPAZIO (Libro #1)

L’ARRIVO (Libro #2)

L’ASCESA (Libro #3)

IL RITORNO (Libro #4)


COME FUNZIONA L’ACCIAIO

SOLO CHI LO MERITA (Libro #1)

SOLO CHI Г€ VALOROSO (Libro #2)

SOLO CHI Г€ DESTINATO (Libro #3)


UN TRONO PER DUE SORELLE

UN TRONO PER DUE SORELLE (Libro #1)

UNA CORTE DI LADRI (Libro #2)

UNA CANZONE PER GLI ORFANI (Libro #3)

UN LAMENTO FUNEBRE PER PRINCIPI (Libro #4)

UN GIOIELLO PER I REGNANTI (Libro #5)

UN BACIO PER LE REGINE (Libro #6)

UNA CORONA PER GLI ASSASSINI (Libro #7)

UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Libro #8)


DI CORONE E DI GLORIA

SCHIAVA, GUERRIERA, REGINA (Libro #1)

FURFANTE, PRIGIONIERA, PRINCIPESSA (Libro #2)

CAVALIERE, EREDE, PRINCIPE (Libro #3)

RIBELLE, PEDINA, RE (Libro #4)

SOLDATO, FRATELLO, STREGONE (Libro #5)

EROINA, TRADITRICE, FIGLIA (Libro #6)

SOVRANA, RIVALE, ESILIATA (Libro #7)

VINCITORE, VINTO, FIGLIO (Libro #8)


RE E STREGONI

L’ASCESA DEI DRAGHI (Libro #1)

L’ASCESA DEL PRODE (Libro #2)

IL PESO DELL’ONORE (Libro #3)

LA FORGIA DEL VALORE (Libro #4)

IL REGNO DELLE OMBRE (Libro #5)

LA NOTTE DEI PRODI (Libro #6)


L’ANELLO DELLO STREGONE

UN’IMPRESA DA EROI (Libro #1)

LA MARCIA DEI RE (Libro #2)

DESTINO DI DRAGHI (Libro #3)

GRIDO D’ONORE (Libro #4)

VOTO DI GLORIA (Libro #5)

UN COMPITO DI VALORE (Libro #6)

RITO DI SPADE (Libro #7)

CONCESSIONE D’ARMI (Libro #8)

UN CIELO DI INCANTESIMI (Libro #9)

UN MARE DI SCUDI (Libro #10)

UN REGNO D’ACCIAIO (Libro #11)

LA TERRA DEL FUOCO (Libro #12)

LA LEGGE DELLE REGINE (Libro #13)

GIURAMENTO FRATERNO (Libro #14)

SOGNO DA MORTALI (Libro #15)

GIOSTRA DI CAVALIERI (Libro #16)

IL DONO DELLA BATTAGLIA (Libro #17)


LA TRILOGIA DELLA SOPRAVVIVENZA

ARENA UNO: MERCANTI DI SCHIAVI (Libro #1)

ARENA DUE (Libro #2)

ARENA TRE (Libro #3)


LA CADUTA DEI VAMPIRI

PRIMA DELL’ALBA (Libro #1)


APPUNTI DI UN VAMPIRO

TRAMUTATA (Libro #1)

AMATA (Libro #2)

TRADITA (Libro #3)

DESTINATA (Libro #4)

DESIDERATA (Libro #5)

PROMESSA (Libro #6)

SPOSA (Libro #7)

TROVATA (Libro #8)

RISORTA (Libro #9)

BRAMATA (Libro #10)

PRESCELTA (Libro #11)

OSSESSIONATA (Libro #12)



Sapevate che ho scritto tantissime serie? Se non le avete lette tutte, cliccate sull’immagine qua sotto e scaricate il primo libro di una di esse!






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Copyright © 2020 di Morgan Rice. Tutti i diritti sono riservati. Eccetto come consentito dal Copyright Act del 1976 degli Stati Uniti d’America, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuita o trasmessa in nessuna forma e mediante alcun mezzo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previo consenso dell’autrice. La licenza di questo ebook è concessa solo per uso personale. Questo ebook non può essere rivenduto, né ceduto a terzi. Se si desidera condividere questo libro con un’altra persona, si prega di acquistare una copia per ciascun destinatario. Se si sta leggendo questo libro senza averlo acquistato, o se non è stato acquistato per uso personale, si prega di restituire la copia e acquistarne una propria. Grazie per rispettare il duro lavoro di quest’autrice. Questa è un opera di fantasia. Nomi, personaggi, aziende, organizzazioni, luoghi, eventi e fatti sono il frutto dell’immaginazione dell’autrice o sono utilizzati a puro scopo di intrattenimento. Qualsiasi richiamo a persone reali, viventi o meno, è puramente casuale. Copyright dell’immagine di copertina di kevron2001, usata secondo la licenza di istockphoto.com.




CAPITOLO PRIMO


Il Maestro Grey era in piedi sopra Royalsport, con le braccia aperte mentre faceva sollevare le maree dei fiumi della cittГ , alte e innaturali, sentendo il grande peso di tutto ciГІ che stava accadendo iniziare a gravare su di lui. Aveva avvertito che sarebbe accaduto tutto ciГІ, aveva avvertito che ci sarebbero state molte morti lungo la strada, ma la realtГ  si stava rivelando peggiore, molto peggiore.

Una goccia di sudore gli scorse giù per il viso mentre osservava la città sottostante; riusciva a vederla nonostante l’oscurità. Aveva imparato quel segreto molto tempo prima. Sotto di sé, poteva vedere Royalsport estendersi, ripartita in quartieri separati dall’assalto dell’acqua, ognuno dei quali formava adesso un’isoletta a sé. Attraverso quelle isole, sciamavano centinaia, se non migliaia, di truppe vestite del rosso e del viola degli uomini di Re Ravin.

La sua magia li aveva almeno divisi in gruppi separati e ciò significava che la maggior parte di quelle forze era ancora intrappolata alla periferia della città, in grado di non fare altro che formare un anello di contenimento attorno alle uscite di Royalsport. Un altro gruppo si trovava nel quartiere dove la Casa delle Armi di solito eruttava fumo e fiamme anche al buio, ma ora le sue fornaci giacevano silenziose, con gli addetti ai lavori presi a difenderle. Altri si erano sparpagliati negli altri quartieri, intorno alle Case degli Accademici, dei Commercianti, dei Sospiri. Separati l’uno dall’altro, la loro forza risultava ridotta, ma restava ancora troppo il male che potevano arrecare, e lo avrebbero fatto dopo aver visto spazzare via tanti dei loro.

Il Maestro Grey sussultГІ a quel pensiero; quante vite aveva rapito quella notte, lasciando corpi cadere e spezzarsi lungo gli argini del fiume o annegare negli abissi? Per quante fossero, erano piГ№ volti nel conto che teneva dentro di sГ© lo stregone; e una parte di lui sapeva che un giorno avrebbe dovuto pagare quel conto. Alla fine, tutte le cose prima o poi si pagano.

Tutto ciò per evitare che si scatenasse un assalto al castello che avrebbe visto massacrati quelli che si trovavano lì dentro, mentre i soldati cedevano alla sete di sangue. In questo, almeno, il Maestro Grey era riuscito. Sotto di sé, poteva vedere il gruppo guidato da Re Ravin intrappolato nel nobile quartiere vicino al castello, impossibilitato a procedere.

Una parte del Maestro Grey desiderava che potesse semplicemente allungare la mano e fermare il cuore dell’uomo con la sua magia. Avrebbe risparmiato così tanta sofferenza a venire, ma per farlo avrebbe messo in moto troppe altre cose. Doveva confidare che le cose che stavano già accadendo fossero sufficienti, che le persone coinvolte fossero tutto ciò che sperava fossero. Ad ogni modo, fare certe cose con la magia deturpava l’anima di un uomo. Lui non era uno degli Invisibili, per prevalere l’equilibrio delle cose e diventare sempre più perverso. Lui lavorava con quell’equilibrio ed era proprio questo a dargli potere.

Come per ricordargli i limiti di quel potere, il Maestro Grey avvertì le mani tremargli, ma riuscì a mantenere l’incantesimo; la sua mente teneva in posizione tutti i delicati legami necessari per far scorrere l’acqua dove non avrebbe dovuto. Ogni secondo che passava permetteva a coloro che si trovavano all’interno del castello di continuare a prepararsi e agli eventi di progredire lungo i sentieri che erano stati loro assegnati. Il Maestro Grey pensò a Devin, che aveva inviato a raccogliere i frammenti della spada incompiuta; a Erin, che combatteva nei vicoli lì in basso; alle figure che ancora dovevano fare la loro parte in tutto ciò.

Per ora, la sua parte era semplice: doveva resistere. Secondo dopo secondo, però, minuto dopo minuto, diventava sempre più difficile. Prima o poi avrebbe ceduto, e allora… allora la tempesta di violenza si sarebbe scatenata.


*

Re Ravin fissò la torre che svettava su un lato del castello. Lo stregone era in piedi lì in cima e, per un attimo, Ravin fu certo che l’uomo stesse guardando verso di lui. Quello era un bene, perché significava che si era accorto del nemico che stava avanzando per il mago stesso e per tutti gli altri.

Intorno a lui, gli edifici del quartiere nobile erano bui e silenziosi; gli abitanti all’interno erano troppo spaventati per uscire nelle strade. Avevano buoni motivi per avere paura: intorno a Ravin, i corpi di coloro che erano capitati sulla sua strada giacevano a terra, morti stecchiti. Prima, i soldati del nemico erano stati lì, a cercare di bloccare la loro avanzata nel quartiere, ma ora, restavano solo i suoi uomini. Avevano assediato le strade e aspettavano in silenzio i suoi comandi.

“Cosa dobbiamo fare, mio re?” chiese uno dei suoi ufficiali. “Proseguiamo verso il castello?”

Ravin prese in considerazione l’idea; era sicuro che almeno alcuni dei suoi uomini si sarebbero gettati nelle acque del fossato del castello se lo avesse loro comandato. Se avesse avuto lì tutte le sue forze, forse avrebbe potuto farlo davvero, colmando il vuoto con il peso del loro numero. Aveva solo quei pochi uomini, però, e in ogni caso non ce n’era bisogno.

Ravin non era un mago, ma aveva appreso sulla magia e sui suoi limiti, così come aveva appreso su tutte le altre armi a cui un re poteva accedere. Il Maestro Grey era senza dubbio potente, ma era pur sempre un uomo e aveva dunque i suoi limiti anche lui.

“L’incantesimo cadrà prima o poi,” replicò Ravin, mantenendo una voce calma, mostrando alle sue truppe che questo ostacolo non era un problema. “Adoperatevi per ricollegare i quartieri. Lanciate funi tra le case, in modo che gli uomini possano arrampicarsi e portare messaggi. Contattate gli uomini che abbiamo in ogni distretto.”

“Sì, mio re,” rispose l’uomo, facendo un cenno con il capo ad alcuni degli uomini che si trovavano lì e mandandoli via di corsa per eseguire gli ordini.

Ravin pensò a quello che il mago stava cercando di fare. A un altro uomo sarebbe potuto sembrare ovvio: separare sacche di truppe e lasciare che i difensori li abbattessero. Ma per Ravin non aveva senso. Non c’erano ancora abbastanza truppe in città perché una strategia del genere potesse funzionare. Al contrario, quello non avrebbe fatto altro che rallentare ancora l’invasione.

Che altro, poi? Forse lo stregone sperava che Ravin si facesse prendere dal panico e si ritirasse, o forse sperava che se solo avesse resistito abbastanza a lungo, i difensori sarebbero stati in grado di prepararsi a sufficienza da salvaguardare il castello. Forse il suo unico pensiero era proteggere il castello. Non tutti riflettevano tanto quanto Ravin sulle strategie, forse nemmeno gli stregoni.

Forse la sua strategia avrebbe funzionato se Ravin non si fosse preparato così bene, o se fosse stato un comandante meno paziente. Forse avrebbe funzionato anche se Ravin non fosse riuscito a sgomberare il letto del fiume in tempo. Quando si combatte per una corona, uccidere l’uomo che cerca di indossarla è un modo efficace per vincere la battaglia.

Era anche qualcosa che Ravin non gli avrebbe perdonato. Lo stregone sarebbe morto per quell’attentato alla sua vita. Ma non ancora.

“Sparpagliatevi,” disse agli altri. “Uno di voi trovi un punto alto e invii il segnale agli altri con la torcia. Dite agli altri uomini di fare lo stesso. Voglio che assedino la città, che la rendano nostra. Schiacciate ogni resistenza e chiunque si trovi per strada è un bersaglio, ma non distruggete più del necessario.”

“Voi dove starete, Vostra Maestà?” chiese l’ufficiale.

“Seguitemi.”

Ravin scelse una casa nobile a caso; aveva un’elegante costruzione in pietra raffinata che si estendeva attorno alla porta e delle piante sistemate alle finestre che scendevano come lacrime per i morti della città. Si avvicinò alla porta e la colpì con un pugno. Comprensibilmente, solo il silenzio gli rispose.

Ravin alzò un piede e diede un calcio alla porta con lo stivale, frantumandone i catenacci che la tenevano chiusa con un solo colpo. Entrò in un corridoio dove erano appesi dei quadri, che raffiguravano figura dopo figura ciò che gli sembrava una dichiarazione sulla discendenza del proprietario e sul suo diritto rispetto alla proprietà. Ravin li stava ancora guardando quando un uomo gli si avvicinò nella tenue luce della casa, correndogli incontro con una spada alzata. Ravin la colpì su un fianco e poi gli infilzò il petto con la sua stessa lama, facendolo cadere ai suoi piedi.

“Se fossi partito da lì, saresti sopravvissuto,” disse.

Camminò rapido per la casa e fino alla cucina, seguendo l’unico sfarfallio di luce presente in quel luogo. Spinse la porta ad aprirla e vi trovò una donna e quelle che pensò fossero le sue figlie, rannicchiate in fondo alla cucina insieme a una manciata di servitori. Erano accovacciati accanto al fuoco e avevano rovesciato un grande tavolo di legno per usarlo come una specie di barricata. Una coppia di servitori aveva in mano dei coltelli e avanzava come potesse combattere.

Ravin alzò la spada, con la lama ancora bagnata dal sangue dell’uomo che gli si era avvicinato.

“Credete davvero di potermi battere?” chiese. “Io sono Ravin, Re dei Tre Regni e vostro legittimo sovrano. Inginocchiatevi o morirete.”

Mise tutte le sue forze in quel suo comando vocale e vide gli uomini impallidire mentre capivano l’enormità di chi avevano davanti. Il coltello di uno sferragliò a terra, ma l’altro fu più lento. La pazienza abbandonò Ravin, che conficcò la spada nel petto del secondo uomo, ignorando le urla delle donne intorno a lui. Gli diede poi un calcio per mandarlo all’indietro e spinse il tavolo a rimetterlo in piedi. Prese una sedia, la sistemò davanti al tavolo e vi poggiò sopra la sua spada ancora insanguinata.

Guardò quei suoi uomini che lo avevano seguito. “Io starò qui. Fate il vostro dovere.”

Si misero in marcia e solo una coppia di loro restò a fargli da guardia del corpo. Ravin se ne stava seduto lì, osservando quelli che erano rimasti nella stanza. Ora erano tutti in ginocchio e lo guardavano con evidente terrore.

“Uno di voi, mi porti del vino,” ordinò. “Il resto di voi dia per scontato un semplice fatto: tutto ciò che pensavate fosse vostro adesso è mio, i vostri soldi, le vostre proprietà, voi stessi. Questa città, questo intero regno… è tutto mio.”

O lo sarebbe diventato, non appena l’incantesimo del mago fosse svanito.




CAPITOLO SECONDO


La grande sala del castello era un alveare di attivitГ ; le sue piazze di moquette erano invase da persone che correvano avanti e indietro per qualsiasi compito potessero svolgere e le alte mura di pietra rimbombavano delle loro conversazioni mentre cercavano di capire cosa dovessero fare dopo.

In quel senso, ricordava a Lenore il brusio delle attività nelle settimane precedenti il suo matrimonio, quando il castello brulicava per i festeggiamenti, ma ora non c’era più nulla di leggero o gioioso. Al contrario, alcuni striscioni intorno alle mura erano stati tirati giù, mentre i nobili stavano discutendo se dovessero essere tagliati per ricavarne delle bende portafortuna; nel frattempo, il trono giaceva vuoto, perché di Vars non si vedeva neanche l’ombra e colui che avrebbe dovuto esservi sopra era morto.

Quel solo pensiero riempì Lenore di dolore, ma dovette fingere di essere calma, perché era la colonna portante attorno alla quale tutti gravitavano. Avevano bisogno di qualcuno che avesse il controllo e un certo equilibrio, e che pensasse mentre loro volevano solo agire; era necessaria una principessa e questo significava che Lenore stava recitando la parte per cui si era esercitata per tutta la vita.

“No,” disse, “non barricate solo la porta esterna della grande sala; voglio che i pezzi vengano inchiodati sul posto.”

“Ma dove troviamo i chiodi?” chiese un nobile. A Lenore non piacque il fatto che si rivolgesse a lei per ricevere istruzioni, quando solo un giorno o due prima l’avrebbe vista come una bella ma inutile statuetta.

“Non lo so. Setaccia i negozi del castello se devi,” replicò Lenore. “Vai.”

L’uomo si mise in marcia senza fare domande. Molti dei presenti agivano senza mettere in discussione le sue istruzioni. Lenore sospettava che molto avesse a che fare con chi era: la sorella del nuovo re e la moglie del figlio del Duca Viris. Forse qualcosa aveva anche a che fare con le persone che volevano semplicemente che qualcuno dicesse loro cosa fare, adesso che c’era una crisi.

Lenore si ritrovГІ a desiderare che ci fosse qualcuno che lo dicesse anche a lei.

In quel momento era spaventata come non lo era mai stata in vita sua. C’era un esercito in città, composto da persone come quelle che l’avevano rapita. I Cavalieri dello Sperone se n’erano andati, così come la maggior parte dei soldati. Come potevano resistere a tutto ciò? Se il castello fosse caduto, cosa sarebbe successo? Sarebbero stati uccisi tutti quelli che vi si trovavano dentro?

Quella non era nemmeno la cosa peggiore che Lenore potesse immaginare, visti gli orrori che erano accaduti ad alcune delle sue domestiche durante il rapimento. Aveva assistito a una sola battaglia ed era stata abbastanza terrificante, ma come sarebbe stato ritrovarsi davanti a un’intera orda di soldati fuori controllo che si abbatte sul castello?

Poi c’era Re Ravin, l’uomo che aveva ordinato il suo rapimento, l’uomo responsabile della morte di suo fratello e di suo padre. Lenore aveva sentito delle storie sulla sua crudeltà e ognuna era più nauseante dell’altra. Il solo pensiero di lui le mandava brividi di terrore giù per la spina dorsale.

“Vostra Altezza,” disse un domestico. “Volete che le armi vengano portate qui dall’armeria?”

Lenore rifletté sulle sue potenziali truppe. C’erano domestici che probabilmente non avevano mai neanche impugnato una spada in vita loro. C’era una manciata di nobili, molti dei quali erano anziani e apparivano spaventati quanto Lenore. Nonostante ciò, era forse meglio cercare quantomeno di opporre resistenza. Anche morire in fretta, poteva essere meglio delle alternative.

“Recupera tutto il possibile per armare le persone,” rispose lei e indicò un altro domestico. “Vai con lui.”

“Sì, Vostra Altezza,” ribatté l’uomo.

Lenore continuò a organizzare quante più difese possibili per il castello, rivolgendosi a nobili e domestici a turno. “Tu, prendi quanti te ne occorrono e vai nelle cucine a cercare quanto più olio possibile. Portatelo alla porta, iniziate a riscaldarlo e approntatevi a versarlo. Tu, chiudi i cancelli e abbassa la saracinesca.”

“E i nostri che sono fuori in città?” domandò l’uomo.

A Lenore si spezzò il cuore a quella domanda e alla risposta che non voleva dire. “Loro… con l’alta marea non alcuna possibilità di tornare indietro. Se li vediamo tornare, possiamo… possiamo lanciare delle corde.”

Non disse quali fossero le probabilità di un loro ritorno; non ci avrebbe pensato, perché Erin e quello strano monaco erano ancora là fuori a combattere il nemico. Forse, però, erano più al sicuro là fuori che al castello, perché significava che avrebbero avuto la possibilità di nascondersi e scappare quando sarebbe arrivato il momento. Non che Erin sarebbe mai scappata di sua volontà, ma forse Odd l’avrebbe costretta a farlo.

Lenore si guardò intorno, consapevole che lei e gli altri lì non avrebbero avuto la possibilità di scappare. La loro unica speranza era cercare di mantenere il controllo del castello, ma la verità era che erano troppo pochi per farlo. Poteva dare una lancia a ciascun domestico e insistere affinché i nobili si schierassero sulle mura per cercare di respingere l’imminente marea di nemici, ma non sarebbe bastato. I compiti che assegnava alle persone erano più finalizzati a farle sentire utili in un momento come quello, che non dovuti al fatto che pensava davvero che sarebbe servito a qualcosa opporre resistenza quando fosse arrivato l’esercito di Re Ravin.

Forse avrebbe potuto farci qualcosa se avesse saputo di più sulla strategia. Attualmente, tutto ciò che aveva ordinato, era un frammento di ricordo che richiamava solo per metà, perché Erin aveva insistito affinché giocassero insieme a difendere il posto da nemici immaginari quando erano piccole, o perché Rodry o il loro padre avevano raccontato storie di come avevano combattuto contro l’uno o l’altro nemico. Alcune di quelle cose le erano sembrate ovvie, ma molte non lo erano affatto.

Desiderò per quella che sembrava la centesima volta che vi fosse qualcun altro lì al suo posto e che prendesse in mano la situazione. Vars avrebbe dovuto essere re ora, ma non era lì a comandare. Rodry e suo padre erano entrambi morti, morti proprio nel momento in cui tutti avevano più bisogno delle loro capacità di guerra. Erin era fuori in città, a dare il massimo nel luogo dove poteva essere più utile. Nonostante Lenore ne capisse il senso e sapesse che con così poche truppe, colpire e correre in città era meglio che aspettare al castello, desiderava che sua sorella fosse lì accanto a lei.

Si ritrovò persino a desiderare che vi fosse Finnal, anche se Lenore non sapeva cosa pensare di suo marito. Era l’uomo buono che a volte sembrava o era crudele come lo dipingevano gli altri? Nel racconto di un bardo, questo sarebbe stato il momento in cui sarebbe arrivato di corsa per assumere il comando di tutto e dimostrare a Lenore quanto la amasse. Invece, non c’era nessuna traccia di lui. Forse era fuori a fare la sua parte nella difesa della città?

Ancora più di Finnal, però, Lenore si ritrovò a desiderare che vi fosse Devin. Era intelligente e gentile, e ogni volta che pensava a lui si sentiva… si sentiva al sicuro. Forse se fosse stato lì, avrebbe usato un qualche trucco che aveva appreso dal Maestro Grey, qualche strategia per tenere tutti al sicuro. Ancor più di quella di suo marito, Lenore si sorprese a desiderare la sua presenza. Forse era un bene che lui non fosse lì, però. Forse stava meglio in giro per il mondo, a intraprendere qualsiasi strano compito lo stregone gli avesse assegnato. Forse lì sarebbe stato più al sicuro. Sicuramente più al sicuro di quanto Lenore fosse al castello.

Stava ancora riflettendo su questo, quando sua madre entrò a grandi falcate nella stanza. Fu proprio il suo passo lungo ad attirare la sua attenzione per primo; da così tanti giorni, la Regina Aethe aveva camminato come una sagoma gobba e rotta. Ora, nonostante indossasse ancora il nero da lutto, camminava verso il centro della sala con l’autorità di un generale.

“Chi è al comando qui dentro?” chiese e tutti gli occhi guardarono Lenore.

“Penso… penso di esservi io, Madre,” rispose Lenore.

Sua madre le mise una mano sulla spalla. “Allora non dovresti farlo da sola. Tu,” si rivolse a un nobile e lo indicò. “Perché te ne stai lì impalato? Trova qualcosa di utile da fare, anche se si tratta solo di tagliare quegli striscioni per fare delle bende.”

Ovviamente aveva compreso ciГІ che Lenore aveva in mente per loro, anche se non era stata presente a quella discussione.

“Ma gli striscioni,” disse l’uomo. “Portano lo stemma reale.”

“Credi che a mio marito interessassero di più gli striscioni o le persone?” scattò in risposta Aethe. “Sono la moglie di un re e la matrigna di un altro. Se un uomo muore dissanguato perché non abbiamo abbastanza bende, ti riterrò responsabile.”

Il nobile si affrettГІ a svolgere il suo compito, mentre Lenore non riusciva a distogliere lo sguardo da sua madre.

“Sono ore che cerco di convincerli a farlo,” disse Lenore.

“Sì, beh, loro sono più abituati a vedere me che faccio la dura,” replicò la regina Aethe e guardò sua figlia negli occhi. “Come sono stata dura con te riguardo a Finnal. Una madre dovrebbe essere presente per sua figlia e non solo quando fa quello che reputa giusto.”

Dopo il modo in cui le aveva parlato l’ultima volta, quando non l’aveva ascoltata e le aveva schiaffato in faccia il suo lutto, come se le difficoltà di Lenore non avessero importanza alcuna di fronte a esso, questa era l’ultima cosa che la principessa si aspettava di sentirle dire.

“Grazie,” affermò, coprendo la mano della madre con la sua.

“Non devi ringraziarmi per essermi comportata come dovrebbe fare una madre,” disse. “Avevi ragione quando mi hai detto che c’era dell’altro al mondo oltre al mio dolore.”

“Mi dispiace,” replicò Lenore. “Sono stata dura a dirlo. Anche a me manca molto, Papà.”

“Lo so,” ribatté la Regina Aethe. “Ma avevi ragione. Ci sono cose più grandi. Il suo regno, il nostro regno, è in pericolo ed io non resterò a guardare. Farò tutto il necessario per proteggerlo, e uguale farai tu. Qualsiasi cosa sia necessaria.”




CAPITOLO TERZO


Erin era inginocchiata in cima a un muro pronta a scattare, mentre guardava con repulsione tre soldati di Re Ravin passare lì sotto. Nell’oscurità del primo mattino, non potevano vederla e, probabilmente, era meglio così. Erin non si era mai preoccupata molto del suo aspetto; portava da sempre i capelli scuri tagliati corti, per evitare che le oscurassero la vista, e quando possibile indossava tuniche e brache invece che abiti femminili. Adesso, però, sembrava un mostro.

Non era solo per il sangue che copriva la sua armatura o per le ammaccature dove i nemici avevano affondato i colpi. Si era anche ricoperta l’armatura e il volto di polvere, per confondersi meglio nel buio. Oltre a ciò, però, si trattava anche di tutto quello che provava. Odd poteva passare tutto il suo tempo a cercare di insegnarle a combattere con serenità, ma in quel momento tutto ciò che Erin poteva sentire era rabbia verso gli uomini che avevano invaso la sua casa.

Saltò giù dal muro, gridando quell’ira mentre guidava la sua lancia, facendola precipitare nel primo soldato di quel trio. Altro sangue si unì alla patina che già le tingeva l’armatura, schizzando mentre impalava il suo nemico. Colpì forte il terreno e rotolò a tornare in piedi, abbandonando per il momento la lancia a favore di un lungo coltello che afferrò stretto con una mano.

I due soldati rimasti si stavano già girando verso di lei ma, presi dallo shock dell’attacco, erano lenti; Erin era già vicina al secondo e cominciò a pugnalarlo con entrambe le lame corte, troppo vicina perché lui potesse brandire la spada.

Tenne l’uomo morente tra lei e il terzo, usandolo come scudo per bloccare il colpo di un’ascia. Lasciò cadere il suo nemico già morto, trascinandogli dietro l’ascia del suo compagno, e notò che quest’ultimo uomo aveva avvolto l’arma intorno al polso con un pezzo di corda per non farla cadere nel mezzo della battaglia. Significava che era piegato ed esposto mentre Erin scattava all’attacco, affondandogli il suo coltello nella parte laterale del collo.

Quanti erano ora? Al calare della sera, Erin aveva cercato di tenere il conto del numero e aveva persino provato a fare un gioco con gli uomini che la seguivano. Adesso, perГІ, aveva perso il conto; erano semplicemente troppi perchГ© potesse tenerlo.

La situazione era molto lontana dai giochi cavallereschi che aveva a volte praticato da piccola insieme a Rodry; era molto lontana persino dal tipo di violenza rapida e virtuosa che aveva compiuto con Sir Til e Sir Fenir nel villaggio assediato dai Taciturni di Ravin. Questa era cruda, di casa in casa, dove doveva colpire e correre, uccidere e svanire di nuovo nell’ombra.

Erin andò a recuperare la sua lancia, mise un piede sulla schiena del primo soldato e tirò fino a liberarla con un brutto rumore umido. Stava pulendo giusto il grosso del sangue, quando sentì il rumore dei passi che si avvicinavano e vide quelle che dovevano essere altre venti truppe di Ravin che avanzavano rapide dietro alla luce di una lampada.

“Dannazione,” imprecò e si mise a correre. Dietro di lei, i passi accelerarono per raggiungerla e se la diede a gambe, svoltando a destra e a sinistra e sperando di conoscere le strade di Royalsport bene come pensava. Sì, quella era la Strada dei Vasai e quello era il vicolo dove in giorni migliori gettavano la loro argilla di scarto. Erin sapeva dove si trovava.

Questo non la metteva affatto più al sicuro. Un dardo da balestra sfrecciò oltre alla sua spalla, facendola procedere a zigzag mentre correva, determinata a essere un bersaglio difficile per qualsiasi nemico. Saltò sopra una pila di casse e udì delle persone attraversarle alle sue spalle; fece dunque uno sprint per seminarle.

Era stanca, però, e non solo per la corsa. Una dozzina di piccole ferite l’avevano ormai segnata nei combattimenti notturni. Era stata sveglia per più ore di quante potesse ricordare, e poi c’era quella violenza infinita e paralizzante, con uomini che morivano intorno a lei a ogni passo, sia della fazione nemica che amica.

Tuttavia, la furia della battaglia la spingeva a procedere, facendola svoltare ancora, in un cortile che puzzava come se fosse dietro una conceria; il fetore le aggredì le narici con ancora più forza del sangue. Non c’era un’ovvia via d’uscita dal cortile, quindi si girò a guardare i soldati che avanzavano, muovendosi più lenti ora che avevano capito che non aveva vie d’uscita.

“Ora!” gridò Erin.

Gli uomini uscirono allo scoperto sui tetti, tenevano in mano archi e balestre, lance e persino pietre in questa fase. Iniziarono lo sbarramento, sparando giù all’accerchiamento nemico, mentre alcuni di loro procedevano alle spalle avversarie, pronti a inibire ogni tentativo di fuga. Cercando di liberarsi, uno degli uomini si precipitò verso Erin, con la spada alzata. Erin riuscì a malapena a farsi da parte e gli affondò la lancia nelle budella, mentre lui falliva il suo colpo.

I suoi uomini balzarono giù allora, in seguito alla loro prima scarica di violenza con spade, mazze e asce. Attaccarono i soldati del Regno del Sud, uccidendoli uno dopo l’altro, ma non a costo zero. Erin vide uno dei nobili servitori che l’aveva seguita essere trafitto da una spada corta, vide la testa di una guardia spaccata in due dall’impatto di una mazza ferrata. Ogni volta che vedeva cadere uno dei suoi uomini, Erin sussultava, sentendo il colpo come fosse stato inflitto alla sua stessa carne. Tuttavia, sapeva che quello era il prezzo del comando; non poteva tenere al sicuro tutte le persone al suo seguito. Tutto ciò che poteva fare, era sperare che ciascuna delle loro vite portasse alla morte di quanti più nemici possibili.

La lotta nel cortile fu rapida e brutale; i soldati di Re Ravin morirono in meno di un minuto. Erin e i suoi uomini non rimasero comunque nei paraggi, perchГ© ne sarebbero arrivati altri. Ne sarebbero arrivati sempre degli altri. Al contrario, sottrassero tutte le armi possibili ai morti e si rimisero in partenza per le strade, rimanendo nelle vie secondarie e contando sul fatto che conoscevano la cittГ  meglio dei loro nemici.

“Quanti ancora?” chiese un uomo dietro a Erin. Poteva sentire la stanchezza nella sua voce e la provava anche lei, ma sapeva di non poterla mostrare.

“Quanti ne occorre per cacciarli dalla nostra città,” rispose lei. “Noi continuiamo a procedere. Non ci fermiamo. La vita di tutti dipende da questo.” Era sicura che suo fratello, suo padre o persino Lenore, avrebbero fatto un discorso d’incitamento in quel preciso momento; tutto ciò che Erin poteva fare era dare l’esempio. “Tendete una corda.”

L’uomo borbottò ma annuì; si diresse verso uno degli edifici più vicini al corso d’acqua successivo e lanciò una corda dall’altra parte, tirandola fino ad assicurarsi che avesse preso un camino di là. Gli uomini di Erin legarono l’estremità più vicina al tetto sul quale si trovavano, ma fu lei a percorrerla, agile come un’acrobata. Sotto di lei, il fiume solitamente placido, che scorreva tra il quartiere più povero e quello dei teatri, ruggiva come lo stesso Slate. In alto, Erin poteva vedere la sagoma del Maestro Grey, che manteneva ancora il suo incantesimo.

“So che questo rallenta il nemico, mago, ma non rende le cose facili neanche a noi,” mormorò mentre atterrava leggera sul tetto opposto. Lì, vide che il groviglio della corda si era quasi districato; un altro secondo o due, o qualche chilo in più, e sarebbe scivolata in acqua. La legò più stretta, assicurandosi che i suoi uomini potessero seguirla. Si affrettarono sulla sua scia, infilando una seconda corda sopra la prima, in modo da poterla attraversare più facilmente.

“Pare che il nemico abbia avuto la nostra stessa idea,” disse uno di loro mentre attraversava. “Sono sicuro di aver visto la luce di una lampada sopra al fiume.”

“Dove?” domandò Erin e si arrampicò sul lato di un edificio, fino a quando vide un punto in cui sembrava che le luci fossero troppo vicine al fiume. Corse in quella direzione, affrettandosi per i vicoli con gli uomini sulla sua scia.

Rallentò man mano che si avvicinava, muovendosi nell’oscurità. Lì, trovò un ponte di corda tra due edifici e vide un uomo che lo stava attraversando. Sembrava un messaggero, ma a Erin non importava cosa stesse facendo, bastava il fatto che era coinvolto nel tentativo di uccidere la gente della sua città. Afferrò la testa della sua lancia e colpì una delle corde, tagliandola in un colpo solo.

L’uomo sembrò percepire che qualcosa stava andando storto. Si voltò e tornò indietro verso la riva lontana, ma Erin stava già tagliando una seconda corda. Vide la sagoma del messaggero precipitare nell’acqua sottostante e si voltò verso i suoi uomini.

“Non possiamo permetterlo,” disse. “Ma possiamo usarlo a nostro vantaggio. Ci avvicineremo di nascosto e taglieremo i ponti con gli uomini sopra. Uccidendo così quelli che stanno attraversando. Se hanno degli ordini per gli altri gruppi nella città, noi li useremo per metterli in trappola. Qualsiasi cosa facciano, troveremo il modo di farla pagare loro con la vita.”

“E cosa delle nostre vite?” domandò un altro dei suoi uomini.

“Vuoi la verità?” chiese Erin. “Le nostre vite non hanno importanza in questo momento. Pensate a tutti gli abitanti di questa città, a tutti quelli che moriranno o verranno ridotti a poco meglio che schiavi, se il Regno del Sud prenderà Royalsport. La loro unica speranza è che noi continuiamo a muoverci, che continuiamo a uccidere quanti più uomini di Ravin possiamo.”

Forse sarebbe stata fortunata, avrebbe sorpreso Re Ravin con poche truppe intorno a lui e sarebbe dunque stata in grado di ucciderlo. Con lo scemare della notte, però, sembrava sempre meno probabile. No, non era più nemmeno notte. Sopra di sé, Erin poteva vedere una sottile scheggia di luce all’orizzonte, rossa come il sangue che si era riversato nelle strade della città. Normalmente, avrebbe accolto l’alba con piacere, ma ora la malediceva. Il buio era il loro amico e la loro protezione; la luce era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.

Presto, Erin comprese di dover rientrare al castello; odiava l’idea di lasciare Lenore e la loro madre da sole così a lungo. Per ora, però, doveva continuare a combattere, anche se il numero dell’esercito del Regno del Sud sembrava infinito in confronto alla loro piccola forza frantumata.

“Non abbiamo ancora finito,” promise Erin ai suoi soldati. “Andiamo.”

Con la lancia in mano, si immerse nelle prime luci dell’alba, alla ricerca del prossimo gruppo di nemici da uccidere.




CAPITOLO QUARTO


Odd inflisse un taglio a un soldato che gli si era avvicinato, cronometrando il colpo in modo da deviare quello del nemico e incidergli al contempo la gola. Udì un rumore accanto a sé, si girò e parò un altro attacco, sferrando un calcio per far cadere l’uomo all’indietro; poi, ne colpì un terzo per costringerlo a uscire dalla traiettoria del Maestro di Spada Wendros, incapace di completare l’affondo che stava allineando.

“Attento,” disse Odd. “Quello ti aveva quasi preso.”

“Sapevo che ci avresti pensato tu,” rispose il maestro di spada, disarmando abilmente un soldato in arrivo e poi conficcandogli la sua sottile lama nel petto.

Intorno a loro, le pedane per l’addestramento della Casa delle Armi erano inondate di violenza, mentre i fabbri e i maestri combattevano gli uni accanto agli altri, contro i soldati di Re Ravin che si avvicinavano loro per cercare di ottenere il controllo delle armerie. Odd vide uomini lottare con martelli e lame, usando sia i loro arnesi da lavoro che le cose che avevano fabbricato con essi.

Lì, sulla pedana per l’addestramento dove Odd e il Maestro di Spada Wendros combattevano a schiena a schiena, gli uomini si arrampicavano sulle ringhiere di legno che circondavano lo spazio, avanzando a coppia o da soli per attaccare con qualsiasi cosa venissero in possesso, dalle spade alle alabarde, dalle lance alle asce d’armi. Odd deviò una spada d’armi a sinistra, colpì un nemico con il pomolo della sua spada lunga per stordirlo e poi lo decapitò con un colpo di rovescio. Uno si avvicinò dall’altro lato e Wendros alzò la lama mentre si dirigeva verso Odd, lasciando aperta la strada al finto monaco perché abbattesse il soldato in arrivo.

“Sei molto bravo,” osservò Wendros, muovendosi con apparente disinvoltura per evitare il colpo di un’ascia e uccidendo l’uomo che gli si era avvicinato facendo sfrecciare la sua lama. “Dalle voci, avevo creduto che saresti stato più selvaggio.”

Odd grugnì in risposta, immergendosi nello spazio in cui combatteva adesso, con calma e precisione al posto della furia, tanto che la sua lama sfrecciò una volta e poi di nuovo, per colpire altri due avversari.

“È davvero questo il momento di fare questa conversazione?” chiese, mentre la fitta di una lama che gli incideva il braccio lo riportava in sé. Scattò in risposta, avvertendo l’impatto della sua spada contro la carne, ma non ebbe il tempo di fermarsi a vedere i risultati.

“Questo è successo perché ruoti un po’ troppo il polso quando passi dalla parata al contrattacco,” spiegò il Maestro di Spada Wendros. Come per avallare la sua tesi, deviò una lama e poi spinse la sua stessa spada nel palato di un uomo.

“Se vorrò una lezione di spada, te lo chiederò,” disse Odd. Evitò un altro colpo, uccise l’ennesimo uomo e continuò ad andare avanti.

C’era qualcosa di meccanico nella violenza in questa fase, così che invece di pensare a finta e contrattacco, tattica e distanza, c’erano solo il movimento e l’uccisione, passando da un avversario all’altro.

Nonostante ciò, il Maestro Wendros faceva sembrare tutto facile. Si muoveva fluido e con un tempismo perfetto; non sembrava mai avere fretta, ma era sempre presente quando serviva. Deviava i colpi e lasciava che lo superassero; colpiva con una letalità quasi disinvolta, mentre lasciava una scia di cadaveri ai suoi piedi. Solo lo zoppicare della gamba ferita gli faceva perdere l’equilibrio, rallentandolo e facendo singhiozzare un poco il suo lavoro di piedi.

Anche mentre Odd colpiva un altro avversario, non poté fare a meno di chiedersi quanto il maestro di spada dovesse essere stato bravo come spadaccino nel fiore dei suoi anni. Odd era sempre stato considerato uno dei più pericolosi tra i Cavalieri dello Sperone, ma il maestro di spada era qualcosa di diverso. Era davvero incredibile che Odd non l’avesse cercato per combatterci.

Odd affondò più in profondità nella meditazione della violenza, sperimentando ogni momento in modo così vivido che sembrava riempire i suoi sensi. Tutti i colori del luogo erano adesso più luminosi, i suoni della battaglia più chiari, ognuno con il proprio messaggio, cosicché scoprì di poter cogliere il flusso e il riflusso della lotta intorno a lui proprio da questo. C’erano pochi piccoli duelli intorno a loro, con partecipanti caduti e vittoriosi; Odd non sapeva quali. Riusciva a percepire il respiro degli uomini che si avvicinavano loro, a cogliere ogni dettaglio di una spada che puntava il suo cranio anche mentre la evitava, uccidendo l’uomo con un colpo verso l’alto.

In un istante, non c’erano più nemici da combattere. Lo spazio intorno alla pedana per l’addestramento era vuoto di nemici, lo spazio all’interno conteneva solo i loro cadaveri, l’odore della morte riempiva tutto. Sopra, attraverso ampie finestre ad arco, Odd pensò di vedere un sottile frammento di alba fare capolino con una tonalità di rosso.

“Non avrei mai pensato che saremmo vissuti abbastanza a lungo da vederla,” disse, rivolgendo lo sguardo al maestro Wendros. L’uomo sedeva su una delle ringhiere della pedana per l’addestramento e bendava una ferita sul suo torso con una striscia di stoffa. Odd non aveva visto quel colpo fare centro e non aveva creduto che qualcosa potesse passare attraverso la precisa rete delle sue difese.

“Una volta, questo non mi avrebbe neanche toccato,” affermò il maestro di spada, con un tono irritato. Odd poteva crederci.

“Avrei voluto combattere con te allora,” disse Odd.

Il maestro di spada si accigliò. “Non l’avrei fatto,” rispose. “Ho sentito parlare dell’uomo che eri. Non avremmo combattuto, se non fino alla morte.”

Odd chinò il capo, perché non poteva negare la verità di quelle parole. Un tempo, il suo orgoglio non gli avrebbe permesso di tollerare l’esistenza di un altro uomo con quelle abilità senza metterlo alla prova e la sua rabbia da battaglia non avrebbe permesso che si trattasse di altro che sangue.

“Non sono più l’uomo che ero,” replicò Odd, ed era più una speranza che un fatto.

“Chi di noi lo è?” ribatté Wendros. “Sono onorato di combattere al tuo fianco adesso, però.”

Questo colse Odd un po’ di sorpresa. Erin sembrava contenta di essere sua allieva, ma non sapeva fino in fondo chi era e cosa aveva fatto. Il Maestro di Spada Wendros era abbastanza in su con l’età da saperlo, ma non si era allontanato da lui come avrebbe fatto la maggior parte dei Cavalieri dello Sperone.

“Quindi,” disse Wendros. “Abbiamo un piano in tutto questo?”

“Aiutiamo dove possiamo,” rispose Odd. “Ci sono troppi nemici e noi siamo troppo pochi. La Principessa Erin sta guidando degli uomini; colpiscono e fuggono per le strade. Mi ha mandato qui per cercare di recuperare uomini e armi per la battaglia.”

Ma ormai gli uomini rimasti erano ben pochi. Se le stanze per l’addestramento erano state sgomberate dagli invasori, c’era solo una manciata di maestri d’armi e fabbri rimasti in piedi e la maggior parte di essi era ferita.

“Andate,” ordinò loro Odd. “Siete rimasti troppo pochi per mantenere il controllo di questa Casa. Unitevi alla lotta per le strade. Uccidete i nemici e proseguite. Andate.”

Uscirono, ovviamente contenti di avere qualcuno che sembrava sapere cosa stava facendo e dava loro dei comandi.

“Forse dovremmo unirci a loro,” propose Wendros e saltò giù da dov’era appollaiato sulla ringhiera, barcollando leggermente sulla sua gamba malandata.

“Ben presto,” rispose Odd. “Quando sarai pronto.”

“Non provare a compatirmi,” ribatté il maestro di spada, “o combatteremo per davvero.”

Nonostante ciò, si fecero strada attraverso la Casa delle Armi molto più lentamente degli altri, scendendo negli spazi dove si trovavano le fucine e avanzando verso l’uscita. Le fucine giacevano silenziose adesso, solo un debole bagliore proveniente da esse si aggiungeva alla crescente luce dell’alba.

“Pensi che possiamo vincere?” chiese Wendros.

Odd alzò le spalle. “A volte si tratta solo di quanto a lungo e quanto bene si combatte.”

Si stavano ancora dirigendo verso l’uscita quando altri uomini di Ravin iniziarono ad accedere alla Casa delle Armi. Una coppia entrò per prima e Odd la abbatté senza difficoltà, ma seguirono altri e altri ancora dietro di loro. Si riversarono nella Casa delle Armi, quasi troppi per poterli contare. Certamente troppi perché loro due potessero combatterli. Nonostante ciò, Odd strinse la spada sul palmo.

“Pensi di caricare di nuovo?” domandò Wendros.

“No,” rispose Odd. “Combattiamo e ci ritiriamo, usando le fucine come copertura.”

Era un buon piano e iniziarono a indietreggiare insieme, verso una via d’uscita. Il nemico avanzò lento all’inizio, come se nessuno volesse essere il primo a raggiungerli. Poi un uomo si fece avanti, caricando, e Odd lo abbatté.

Gli uomini si riversarono dentro dopo di lui, raggiungendo Odd e Wendros da ogni lato. Adesso non c’era tempo per l’eleganza, né per l’abilità. C’era tempo solo per tagliare e affondare, dando terreno passo dopo passo. Finora poteva andare, perché le fucine li proteggevano mentre combattevano a fianco a fianco, ma un solo sguardo indietro disse a Odd che presto si sarebbe ripresentato il problema che lui ed Erin avevano affrontato sul ponte. Al di là delle fucine, oltre l’uscita verso cui si stavano dirigendo, lo spazio si apriva e i loro nemici avrebbero potuto circondarli. Solo che, questa volta, Odd dubitava fortemente che ci sarebbe stato un esercito che sarebbe venuto a salvarli.

“È un problema,” disse il Maestro di Spada Wendros, ovviamente avendo notato la stessa cosa. La sua spada volteggiò per deviare la lama nemica e ucciderne il proprietario. “Ma è un problema con una soluzione, almeno.”

“Quale soluzione?” chiese Odd, abbattendo un altro uomo, poi un altro ancora.

“Io difendo la posizione mentre tu scappi,” rispose Wendros. Deviò un colpo e calciò un soldato addosso ad altri due, rallentandone un poco il ritmo.

“Cosa? No,” ribatté Odd, e non solo perché non gli piaceva l’idea di scappare da un combattimento. Il maestro di spada lo aveva trattato come un suo simile e non come un cane rabbioso da usare contro i nemici ed evitare per il resto del tempo.

“Pensi che io possa correre?” chiese Wendros, mentre uccideva un altro uomo ancora. “Vai, Odd!”

“Io… grazie,” disse l’ex monaco. Si gettò all'indietro, dirigendosi verso la porta. Non poté fare a meno di guardarsi alle spalle, però.

Quello che vide gli si impresse dentro come qualsiasi altro oscuro ricordo della sua vita. Vide Wendros piroettare in un vortice di acciaio sfocato, che sembrava sfiorare appena i suoi nemici ma essere abbastanza affilato da finirli con quel tocco. Faceva vorticare le spade ed era un tutt’uno con esse, mentre uccideva qualsiasi uomo gli si avvicinasse, anche quando cominciarono a riversarsi tutti intorno a lui.

Se la sua gamba ferita non fosse scivolata mentre si girava per affrontarne un altro, forse avrebbe potuto anche tenerli tutti a bada. Nello stato in cui era, il suo equilibrio cedette, solo per un istante, lasciando la piГ№ breve delle aperture.

Una spada la trovò e lui venne trafitto, anche se riuscì a uccidere un altro uomo. Poi una seconda spada varcò l’apertura e gli si infilzò sotto l’ascella, unendosi alla prima. Odd osservò il maestro di spada morire e uccidere gli avversari anche mentre lo faceva.

Poi giunse il momento di fare una cosa che non aveva mai fatto in tutti i suoi anni come Cavaliere dello Sperone. Corse via, con tutti i soldati di Re Ravin sulla sua scia.




CAPITOLO QUINTO


Il Maestro Grey avvertì la luce dell’alba avvolgerlo. In un altro giorno, il suo calore avrebbe potuto essere piacevole, ma ora era un disturbo. La magia si basava sull’equilibrio delle forze del mondo e qualsiasi cambiamento poteva perturbare quell’equilibrio. L’alba era come un vento che spingeva ai margini della sua mente, che lo colpiva in un modo impossibile da controllare.

“Solo… qualche… altro… minuto,” borbottò Grey a denti stretti. Lui era il fulcro in base a cui si muovevano le leve del mondo, il mozzo della ruota, il punto fermo al centro di tutto.

Ma non era fermo. Aveva tremato per lo sforzo di tutto ciò quasi da quando aveva iniziato; il sudore gli inzuppava le vesti mentre lottava per tenere tutto collegato, per far sì che la magia fluisse attraverso di lui.

Ogni istante in più che durava un incantesimo, diventava sempre più difficile da mantenere; le strutture ordinate dei primi istanti decadevano e diventavano più selvagge, man mano che le forze al suo interno si agitavano in un modo e nell’altro. L’incantesimo di un novizio sarebbe crollato a quel punto, come era accaduto a molti di quelli che aveva fatto Devin mentre modellava il metallo stellare. Un mago esperto poteva sostenerlo per un breve periodo, ma il Maestro Grey aveva portato avanti quello sforzo per ore, adattandosi a ogni cambiamento, riportando tutto nel suo insieme.

A un certo punto, però, neanche lui avrebbe potuto proseguire, ed era proprio quello il momento in cui avrebbe dovuto fare una scelta. Poteva resistere un po’ più a lungo, spingersi al limite assoluto, ma alla fine la sua pressione avrebbe fatto crollare l’incantesimo e anche lui.

E poi… sarebbe stato troppo stanco per fuggire, troppo spento per combattere mentre le forze di Re Ravin assalivano il castello. Se lo avessero catturato, cosa sarebbe successo? Il Maestro Grey non era abbastanza arrogante da credere che non avrebbe rivelato alcun segreto dandolo in pasto agli aguzzini di Ravin, che non avrebbe dato loro un aiuto se lo avessero costretto.

Non poteva permettere che ciò accadesse. C’erano ancora degli eventi che dovevano verificarsi, ancora delle cose che doveva fare, o tutti i Tre Regni sarebbero stati in pericolo e per cose peggiori delle forze di Re Ravin.

Diede un ultimo sguardo alla città. In piena alba, non era necessaria la vista di uno stregone per rendersi conto della diffusione dell’esercito del Regno del Sud. Ora riempiva tutti i quartieri bassi della città e presto si sarebbe esteso anche al castello. Accolse in sé l’impeto dell’acqua, la sua furia che scorreva attraverso i canali che dividevano la città. Grey pensò a tutti coloro che erano morti e che potevano ancora morire. Poteva solo sperare di aver salvato qualche vita con le sue azioni; magari avrebbe in parte compensato le morti che sarebbero seguite.

Lasciò cadere l’incantesimo.

Fu come liberare le redini di uno stallone che voleva caricare, l’energia ritratta scoppiò in un tuono che echeggiò sopra a Royalsport, mentre la furia dell’acqua sottostante cominciava a rifluire. I corsi iniziarono ad abbassarsi e l’acqua tornò verso il mare, dopo un arco così lungo in cui si era gonfiata e accumulata. Il livello discese e il Maestro Grey sapeva che ben presto le truppe di Ravin si sarebbero riversate in tutto il regno, inarrestabili una volta unite.

Doveva andarsene.

Raggiunse la cassa che teneva chiusa nei suoi alloggi, prendendone il contenuto. Poi rimase lì in piedi, attingendo al suo potere, sperando di avere ancora abbastanza forza per questo. C’erano alcune arti magiche che il Maestro Grey capiva meglio di chiunque altro fosse in vita. Quello che fece dopo fu praticare una di queste. Prese quel potere e lo modellò, in modo che la nebbia riempisse la stanza, oscurando persino le pareti. Il Maestro Grey cominciò a camminare attraverso quelle nebbie, attraverso i luoghi tra esse, un passo dopo l’altro, attento.

Nella stanza della torre, le nebbie cominciarono a sollevarsi, uscendo dalle finestre e bruciando a dissolversi sotto alla luce del sole. Ma erano durate abbastanza a lungo, perché quando si alzarono, il Maestro Grey non c’era più.


*

Vars fuggiva alla velocitГ  di un animale cacciato attraverso i tunnel che portavano fuori dal castello, inciampando sui suoi stessi piedi e rialzandosi, senza curarsi delle ginocchia che gli si sbucciavano contro la pietra dura. In quel momento, tutto ciГІ che contava, era fuggire lontano, per liberarsi di tutto.

Era adesso sporco di polvere e terra del tunnel, i suoi abiti reali erano strappati dove avevano raschiato contro il pavimento, i suoi capelli scuri erano striati di terra e aveva il volto sporco di polvere. C’erano tratti in cui il tunnel era stretto e Vars era contento di non essere alto e possente com’era stato suo fratello Rodry. Ma, del resto, Rodry non sarebbe neanche stato lì, sarebbe rimasto a combattere.

La paura lo alimentava, lo spingeva in avanti, gli dava una velocità che le sue gambe non avrebbero posseduto in nessun altro momento. Sapeva che Re Ravin lo avrebbe ucciso per il trono, per rendere chiaro che aveva conquistato il regno e, allo stesso tempo, per eliminare un rivale. Vars si malediceva per il terrore che provava, nonostante si stesse rivelando una benedizione, che lo aveva portato a scappare, a sopravvivere. Ogni passo sembrava condurlo più vicino alla sicurezza, ma gli faceva anche sentire il peso dell’aver abbandonato i suoi doveri, scappando da tutte le cose per cui aveva lavorato tanto duramente.

Suo padre non sarebbe fuggito, suo fratello neanche. Naturalmente, entrambi sarebbero morti. Vars aveva fatto tutto il possibile come re; aveva inviato le sue forze a contrastare la minaccia del Regno del Sud. Che altro avrebbe potuto fare?

Davanti a sé, vide uno spiraglio di luce e proseguì in quella direzione, per trovare una grata fissata dall’interno con dei bulloni marroni e rossi per la ruggine. Vars li tirò con tutte le sue forze, desiderando in quel momento di aver passato più tempo a rafforzare il suo corpo, come gli aveva sempre consigliato Rodry. Sentì il metallo incidergli le mani, ma continuò lo stesso, strattonando i bulloni fino a quando il metallo stridette e alla fine cedette, cadendo a terra e lasciando aprire la grata cigolante.

Vars si alzò e si tirò su sotto alla luce dell’alba, respirando profondamente all’aria aperta.

Si alzГІ e si guardГІ intorno, cercando di capire dove si trovava. Da qualche parte nelle zone dei teatri, pensГІ, perchГ© riconosceva la forma avvolta nella seta della Casa dei Sospiri che si ergeva sopra il resto.

Era meglio che essere al castello, ma doveva comunque uscire dalla cittГ .

Vars si mise in cammino lungo le strade, tenendo la testa bassa, nascondendosi sulle soglie ogni volta che sentiva il rumore dei soldati che arrivavano. Li vedeva marciare in formazione, dichiarando la proprietГ  delle strade e cercando di fare qualsiasi mossa militarmente utile. Vide un cittadino comune incrociare il loro cammino, cercare di voltarsi e correre, ma lo abbatterono senza esitare.

Vars deglutì a quella scena, consapevole che gli avrebbero fatto lo stesso se lo avessero visto; tuttavia, per fortuna, lo superarono, lasciandolo procedere verso le periferie della città. La tremenda furia dei ruscelli si era ritirata, quindi si calò su un letto fangoso, tenendosi basso e andando verso le mura.

Sapeva di non poter tentare di attraversare le porte della città, ma c’erano sempre altri modi per entrare e uscire da essa. Li aveva usati a volte quando si era incontrato con qualche donna, quando si era incontrato con Lyril. Vars si chiedeva cosa fosse successo alla nobildonna, che aveva desiderato sposarlo tanto ardentemente, da quando l’aveva mandata via. Era forse nascosta in una qualche casa, o magari stava cercando di sedurre qualche ufficiale del Sud. Era sempre stata brava a cercare di sopravvivere.

AvvistГІ le mura davanti a sГ© e il punto in cui si trovava un piccolo negozio di guanti, quasi addossato contro esse. GuardГІ da entrambi i lati della strada, assicurandosi che non ci fossero soldati nei pressi, e poi corse per sfruttare il negozio come copertura.

Scivolò dietro di esso, in uno spazio dove c’era un’apertura nel muro coperta da assi di legno. Era stata usata a lungo dai contrabbandieri, e Vars era stato fin troppo felice di chiudere un occhio in cambio della possibilità di usarla quando aveva bisogno di andare e venire con discrezione, o di un piccolo “regalo” occasionale, naturalmente. Ora, sarebbe stata la sua ancora di salvezza. Tutto quello che doveva fare era attraversarla, trovare un cavallo dall’altra parte e galoppare verso la sicurezza della campagna. Si sarebbe nascosto fino a quando non fosse riuscito a trovare un modo per tornare al potere.

Si chinò e si fece strada attraverso il varco; si mosse rapido, per evitare di essere visto. Spinse da una parte la copertura dall’altro lato; ce l’aveva fatta! Era salvo!

Mani ruvide lo afferrarono, però, trascinandolo fuori dall’intercapedine e all’aria aperta. Lo gettarono a terra e, accanto a sé, Vars vide una mezza dozzina di cadaveri che giacevano ammassati. Si girò sulla schiena e alzò lo sguardo su una coppia di soldati di Re Ravin; il terrore lo pervase quando si rese conto che erano stati messi lì apposta per colmare quella falla e uccidere chiunque cercasse di fuggire.

In un momento come quello, Rodry ed Erin avrebbero forse combattuto. Lenore sarebbe senza dubbio morta con dignità, Greave l’avrebbe invece fatto citando qualcosa di commovente che la gente avrebbe raccontato per secoli. Vars non era nessuno di loro. Al contrario, quando una spada si sollevò su di lui, fece l’unica cosa che gli venne in mente: alzò le mani in segno di resa.

“Sono Re Vars del Regno del Nord,” disse. “E sono cento volte più utile a Re Ravin da vivo che da morto!”




CAPITOLO SESTO


Greave si precipitava lungo il porto che giaceva appena fuori dalla città di Astare; i suoi capelli scuri catturati dalla brezza marina, i suoi tratti quasi femminei erano resi un poco più ruvidi dalla barba scura che popolava il suo volto da giorni, i suoi vestiti erano macchiati per il viaggio e la violenza. A ogni passo cercava di trattenere il dolore che provava per la sua perdita e si guardava intorno in cerca di una barca che lo portasse in salvo, anche mentre la città soprastante rimbombava con i suoni dell’invasione.

Non sembravano esserci candidati ovvi adesso. Le navi del Regno del Sud facevano la guardia intorno alla più grande delle navi presenti, non concedendo alcuna via di fuga, mentre piccole imbarcazioni si allontanavano, sparpagliandosi nell’oceano. Ciò significava che ormai ne erano rimaste poche e i loro capitani preferivano correre i rischi del mare piuttosto che starsene seduti ad aspettare che gli uomini di Re Ravin li trovassero. Greave non poteva biasimarli. Forse… forse sarebbe semplicemente dovuto salire sulla barca che aveva mandato via con Aurelle, e risolvere tutto dopo.

No. Il solo pensiero di Aurelle lo faceva sentire come se gli stesse per scoppiare il cuore di dolore. Quando lei era partita con lui per quel viaggio, aveva pensato che fosse perché lo amava, nel modo in cui lui stesso l’aveva amata. Greave era stato così profondamente preso da lei da non rendersi conto, fino a quando non era troppo tardi, di chi era davvero: una spia mandata per impedirgli di trovare la cura segreta della malattia a squame, anche a costo di ucciderlo. Non importava che alla fine lo avesse aiutato; il tradimento… faceva troppo male per lasciarselo semplicemente alle spalle.

Infilò la mano nel punto della sua tunica, dove aveva nascosto la pagina che aveva strappato dagli appunti di Hillard; la pergamena era al sicuro, anche mentre il resto della biblioteca sotterranea di Astare andava in fiamme per mano di Aurelle. Se solo fosse riuscito a mettersi in salvo, per poi trovare gli ingredienti di cui aveva bisogno…

Proprio in quel momento, però, Greave non riusciva a vedere una barca che potesse portarlo alla salvezza. Ce n’erano alcune, ma erano chiaramente troppo grandi per essere gestite da un solo uomo, anche se sapeva molto sulla navigazione. Peggio ancora, c’erano soldati che scendevano lungo il sentiero che, attraverso la scogliera, conduceva giù fino ai moli; si sparpagliarono, muovendosi come se stessero cercando qualcosa.

Greave cercò di costringersi a restare calmo. Non potevano essere sulle sue tracce. Gli uomini che erano andati a cercare lui e Aurelle nella grande biblioteca erano morti, erano stati uccisi direttamente da Aurelle o erano finiti intrappolati nel fuoco che avevano appiccato mentre andavano via. Greave soffriva ancora per aver fatto parte di tanta distruzione in un luogo che conteneva così tanta conoscenza, ma non poteva fare nulla per cambiare tutto ciò adesso.

Si fece strada fino all’ultima banchina di legno sporgente, sperando di trovarvi almeno un capitano che potesse aiutarlo. Non c’era nessuno, però; nessuna barca che potesse tentare di rubare, mettendo a rischio le sue limitate capacità nautiche contro le maree. C’erano solo pile di provviste, in attesa di qualsiasi nave fosse arrivata al porto, o forse abbandonate da quelle che erano scappate: barili di catrame, casse di gallette, scatole di pesce sotto sale.

Greave si voltò per tornare indietro lungo i moli, deciso a mimetizzarsi e a trovare una via d’uscita da Astare, ma persino mentre lo faceva, si accorse che i soldati erano arrivati ai moli e stavano parlando con i pochi abitanti rimasti. Uno di essi indicò nella sua direzione.

“No,” disse Greave. “Non possono dare la caccia a me.”

Sembrava di sì, però. Forse qualcuno aveva fatto chiarezza sulla biblioteca in fiamme, o aveva visto lui e Aurelle per strada e lo aveva riconosciuto. Qualunque cosa fosse, significava che Greave era in grave pericolo… e ora non c’era più Aurelle a proteggerlo.

Rise amaramente a quel pensiero, all’idea di desiderare qualcuno che gli aveva fatto tanto male solo perché si era dimostrato pericoloso con un coltello. Ma il filosofo Serecus non scriveva forse che l’amore contava meno delle cose pratiche della vita? Yerrat non scriveva che era meglio avere un nemico forte al proprio fianco contro un nemico comune, piuttosto che amici deboli? Greave aveva sempre pensato che qualcosa fosse andato perduto nella traduzione.

Non aveva alcun senso che desiderasse Aurelle adesso, che fosse per il ricordo della morbidezza della sua pelle o solo perché poteva uccidere un uomo più velocemente di quanto Greave potesse battere ciglio. Se n’era andata, il suo passaggio era stato pagato e il capitano aveva giurato di non tornare indietro. Greave doveva trovare da solo una via d’uscita. Cominciò a scendere lungo il molo su cui si trovava.

Era troppo lento, troppo preso dai pensieri di Aurelle per muoversi con la dovuta rapidità. Anche adesso, sembrava che gli stesse facendo del male. I soldati che chiedevano di lui erano in fondo al molo, e almeno uno aveva segni di bruciature sull’uniforme che dicevano che doveva essere fuggito al fuoco della biblioteca.

“Non c’è nessun posto dove scappare, Principe Greave!” gridò l’uomo. “Oh, sappiamo che siete voi, e i modi in cui vi faremo del male per aver cercato di bruciarci vivi prima di consegnarvi a Re Ravin, vi faranno desiderare di non aver mai lasciato Royalsport!”

Greave cominciò ad arretrare lungo il molo, mentre i soldati lo seguivano al ritmo tranquillo degli uomini che sanno che la loro preda non ha un posto dove scappare. Il problema era che sembravano avere ragione. Greave ripercorse tutte le cose che aveva letto sulle tattiche e sui trucchi dei grandi comandanti, tutti i giochi di strategia a cui aveva partecipato e che avrebbero aiutato un generale a imparare a comandare. Nessuno di essi sembrava avere una risposta per una situazione dove c’era un uomo che non sapeva niente dell’arte della spada e che avrebbe dovuto affrontare ciò che sembrava almeno una ventina di nemici, senza un posto dove scappare.

Cosa avrebbe fatto Aurelle? Il pensiero lo colse tagliente e inaspettato, e una parte di lui voleva reprimerlo per quanto faceva male pensare al rosso dei suoi capelli o al verde intenso dei suoi occhi. Ma, in quel momento, non era quella la parte di lei a cui doveva pensare. Gli serviva la donna spietata che celava sotto la superficie, quella che aveva dato fuoco alla grande biblioteca di Astare solo per poterli…

Tutto qui.

Greave continuò a indietreggiare, ad arretrare fino a quando non fu all’altezza dei barili di catrame. Con un grande sforzo, ne rovesciò uno, riversandone il contenuto sulla banchina. Prese la pietra focaia e l’acciarino dalla sua cintura e vide gli occhi dei soldati spalancarsi.

“Non volete farlo,” disse quello davanti. “Morireste.”

“In realtà,” rispose Greave, “ho il sospetto che con il vento in questa direzione e il carburante che scorre via da me, ci sono buone probabilità che io sopravviva a tutto questo. Mentre voi…”

Produsse le scintille con la pietra focaia e le fece cadere sul catrame. Questo ruggì in risposta e Greave dovette gettarsi all’indietro sull’estremità del molo, mentre la fiammata divampava. In pochi secondi, acquisì controllo sul molo e anche di più. Quei soldati che non riuscirono a fuggire abbastanza in fretta caddero urlando, cercando di spegnere l’incendio mentre li divorava.

Il fuoco sfrecciò lungo il molo, catturando altri barili di catrame. Greave li sentì vibrare tutti mentre esplodevano dietro al calore e altre fiamme si innalzavano alte nell’aria. Il molo sbandò mentre le sue travi si spaccavano per la tensione, e Greave dovette lottare per mantenere l’equilibrio.

Il calore del fuoco era immenso, come il ruggito di una fucina in una giornata estiva. Rivendicava i rifornimenti lungo il molo con l’avidità che solo il fuoco poteva avere, e una parte della mente di Greave ripescò tutto ciò che aveva letto sulle proprietà delle fiamme, sui modi in cui gli studiosi avevano teorizzato che tali cose potevano essere estratte dall’aria con nient’altro che combustibile e scintille. Niente di tutto ciò sembrava sufficiente a spiegare il modo in cui il fuoco stava inghiottendo la strada lungo il porto di Astare, dirigendosi adesso verso gli altri moli, diffondendosi con una tale velocità che impediva ai soldati di sfuggire alla sua furia.

Il fuoco sul molo non era meno intenso; le sue travi si muovevano mentre le fiamme ne consumavano la colla e la corda che le tenevano sul posto. Greave ebbe un attimo di tempo per chiedersi se quello fosse il più ben calcolato dei piani, dopotutto. E poi stava cadendo, precipitando nel freddo scioccante dell’acqua.

Schegge e stecche di legno schizzarono come pioggia nell’acqua intorno a lui, sembravano poterlo colpire da un momento all’altro, eppure nessuna lo fece. Greave trattenne il respiro, e cercò di contenere la paura delle cose che potevano essere in agguato. Aveva visto in prima persona quanto potevano essere pericolose le creature delle acque profonde e poteva solo sperare che lì, vicino al molo, non vi fosse niente di così pericoloso. Persino da sotto l’acqua, poteva sentire il calore delle fiamme sopra di lui, vedere la luce tremolante del fuoco che sembrava diffondersi per riempire il mondo.

Quando i suoi polmoni non ressero piГ№, Greave riemerse.

Il porto era ridotto a un inferno e tutto ciГІ che era visibile era in fiamme; persino le grandi navi vicino ai moli avevano dovuto virare e correre verso il mare aperto per evitare danni. Una non era stata abbastanza veloce e Greave vide il fuoco arrampicarsi sul suo sartiame come uno stoppino, illuminandone le vele che brillavano in alto. Si guardГІ intorno, cercando di trovare un modo per uscire da quel caos.

Un’intera sezione del molo giaceva sopra l’acqua come una zattera, un quadrato di legno lungo forse due volte un uomo per lato. Nell’acqua circostante, alcune delle botti che erano state abbandonate galleggiavano. Greave nuotò fino a esse, pensando, cercando di capire quante gliene sarebbero servite. Lentamente, con una cura scrupolosa, cominciò a spingerle in posizione sotto la sezione spezzata, legandole con qualsiasi pezzo di corda trovasse.

Ci vollero lunghi minuti, ma in quel momento nessuno era concentrato su di lui. Quando fu sicuro di aver fatto tutto ciò che poteva, si arrampicò sulla zattera improvvisata, afferrando una sezione di legno da usare come remo. La zattera traballò ma resse, e Greave cominciò a remare per allontanarsi dal porto. Non era sicuro di quanto si sarebbe spinto lontano in quel modo, né di quanto controllo avrebbe avuto una volta che le correnti lo avessero raggiunto, ma era meglio che restare lì. Aveva ancora con sé il metodo per fare la cura e non restava altro che trovare gli ingredienti.

Astare bruciava alle sue spalle mentre se ne andava, ma, nonostante ciò, Greave partì con la speranza nel cuore.




CAPITOLO SETTIMO


“Riportatemi indietro!” Aurelle insisteva con il capitano del piccolo vascello che la stava trasportando fuori da Astare. “Ti prego, non posso lasciare Greave da solo. Morirà laggiù.”

Non faceva alcuna differenza, come tutte le altre sue suppliche. Il capitano era un uomo grande e grosso, dal viso di pietra che non lasciava trapelare granchГ©, ma adesso sorrideva.

“Morirà senza di te lì a proteggerlo?”

L’equipaggio intorno ad Aurelle rise e questo non fece che intorbidire ancora di più il disordine per il dolore, il lutto e la vergogna dentro di lei. Naturalmente, sapeva cosa vedevano quando la guardavano, la stessa cosa che era stata così attenta a proiettare fin dal momento in cui aveva incontrato Greave. I suoi capelli rossi potevano essere liberi di agitarsi al vento invece che essere raccolti in un’elaborata e nobile treccia, ma ogni cosa in lei era ingannevole: gli abiti nobili che la coprivano, la tagliente eleganza dei suoi lineamenti, la sua struttura sottile, tutto fino al semplice fatto che era una donna. Tutto ciò li portava a pensare che fosse qualcuno di debole e indifeso.

Arretrò da lui, cercando di trovare un modo per farlo, per tornare da Greave e spiegargli le cose. Tutto sarebbe andato al suo posto, se solo avesse potuto dimostrargli… se solo avesse potuto dimostrargli che lo amava.

Si aggrappò al parapetto della barca, cercando di capire se poteva in qualche modo tornare a nuoto da Greave, ma ormai era troppo lontano e, in ogni caso, le grandi navi del Regno del Sud l’avrebbero forse fermata prima che fosse giunta a metà strada.

Doveva trovare un altro modo e la Casa dei Sospiri gliene aveva insegnati infiniti.

Osservò i lavori sulla nave, cercando di capire se c’era un modo per farlo accadere per caso. Guardò una mezza dozzina di uomini che si muovevano in concerto per cercare di farla funzionare senza intoppi, ma era chiaro che non c’era modo di invertire la rotta senza il loro aiuto. Ma dopo, che cosa?

AspettГІ il momento in cui il capitano si diresse sottocoperta per un minuto o due, poi si infilГІ nello spazio dietro di lui, seguendolo, cercando di giudicare il modo migliore per farlo. Cosa avrebbe fatto per tornare da Greave? O, piГ№ precisamente, cosa non avrebbe fatto?

“Sei qui per cercare di nuovo di convincermi a invertire rotta?” chiese il capitano mentre gli si avvicinava.

“Esatto,” replicò Aurelle. “Devo tornare dal mio principe. Farò qualsiasi cosa per tornare indietro. Qualsiasi cosa.”

Si avvicinГІ al capitano.

“Credi davvero che funzionerà?” chiese lui.

Aurelle estrasse un coltello e glielo premette contro la gola con un unico movimento fluido.

“Riportami indietro, subito,” gli intimò.

“Uccidimi e i miei uomini uccideranno te,” ribatté il capitano. La parte peggiore era che probabilmente era vero. Con abbastanza posti per nascondersi, Aurelle avrebbe potuto far fuori tutti gli uomini, ma nel piccolo spazio della barca, avrebbe combattuto frontalmente contro sei uomini. Anche un Cavaliere dello Sperone non ce l’avrebbe fatta, forse, e lei non era un cavaliere. Era sempre meglio conficcare un coltello nella schiena che combattere apertamente.

Anche se in qualche modo fosse riuscita a ucciderli tutti, non avrebbe saputo riportare indietro la barca. Aurelle non poteva pilotarla da sola fino al porto.

“Perché non inverti rotta?” chiese lei.

Il capitano alzò le spalle. “Sono leale alla corona e sono leale quando mi pagano. Il principe Greave mi ha pagato per portarti fino a Royalsport, ed è quello che farò.”

“Ma morirà lì,” disse Aurelle. “Dobbiamo salvarlo. Io… io lo amo.”

“I miei uomini probabilmente non hanno sentito nulla di quello che tu e il principe vi siete detti,” replicò il capitano, “ma io sì. Io so chi sei. So cosa sei, mia signora, e non ho tempo per questo tipo di inganni. Ti riporterò indietro e sei fortunata che non ti tagliamo la gola e ti buttiamo in mare per aver tradito il principe.”

Tornò sul ponte e ci volle un attimo prima che Aurelle potesse seguirlo; lo shock del suo fallimento la tenne per un attimo inchiodata al suo posto. Era stata così sicura che avrebbe trovato un modo per far tornare indietro la barca, sicura che potesse trovare un modo per manipolare il mondo a suo piacimento. Ora, era bloccata e, con un sospiro, tornò sul ponte.

Lì, vide le banchine di Astare in fiamme.

“No!” gridò Aurelle a quella scena; le fiamme mangiavano le navi, il legno della parte anteriore del molo. Scorse una figura solitaria in piedi sull’estremità ardente di uno dei moli, e la vide precipitare in acqua, mentre il fuoco sembrava consumare il mondo che lo circondava. “No, ti prego, no.”

Aurelle guardò verso il capitano, ma lui alzò ancora la vela, allontanandosi da Astare il più veloce possibile. Non c’era modo che invertisse rotta adesso, non c’era modo che portasse la sua barca fra quelle fiamme che potevano consumarla, disobbedendo ai comandi impartitigli da Greave.

Mentre si aggrappava al parapetto del peschereccio, Aurelle sentiva il suo cuore spezzarsi. Sapeva di provare per Greave più di quanto avrebbe mai dovuto, più di quanto fosse sicuro o ragionevole, eppure questo… poteva fare tanto male perdere qualcuno se lo si amava più di ogni altra cosa al mondo. Almeno, Aurelle pensava che quello fosse il suo caso; non aveva mai amato nessuno in quel modo prima d’ora.

Nella Casa dei Sospiri, Aurelle si era sempre vantata di non essere mai stata toccata da qualcosa di così sciocco come il sentimento. Aveva visto tutti i modi in cui le persone cercavano di usarsi l’una con l’altra; era stata onesta sulle transazioni al centro di tutte le cose, anche quando altri avevano cercato di tessere stupide trame fatte di bisogni o sentimenti, che non facevano altro che essere d’ostacolo. Quando era stata scelta per spiare e agire nell’ombra, Aurelle l’aveva trovato facile. Non le era sembrato un tradimento quando non c’era stato amore.

Adesso, si sentiva una traditrice. Aveva tradito Greave spiandolo e aveva tradito tutto ciГІ che doveva essere, osando innamorarsi di lui. Aurelle non sapeva cosa fare.

Guardò il porto in fiamme e, proprio in quel momento, sentì il suo cuore ridotto allo stesso modo, andava a fuoco con una tale ferocia che presto non sarebbe rimasto nulla se non cenere. Aurelle suppose che quel tipo di danno potesse compromettere l’invasione del Regno del Sud, ma non era una consolazione. In ogni caso, la battaglia ad Astare si era tenuta e la città era loro.

La cosa peggiore era che i suoi datori di lavoro sarebbero stati probabilmente contenti per il modo in cui erano andate le cose. Poteva quasi immaginare il modo in cui il Duca Viris avrebbe sorriso, appena gli avesse detto che la biblioteca che conteneva la cura per la malattia a squame era stata bruciata, che il principe che l’aveva cercata era scomparso, insieme all’ultima pagina della ricetta.

Anche se avesse provato a dirgli che era accaduto tutto per caso e non per sua mano, il duca avrebbe forse supposto che fosse solo prudente e sarebbe stato più che contento di com’erano andate le cose. Aurelle poteva immaginare anche il modo in cui avrebbe voluto festeggiare, perché un uomo del genere non l’avrebbe mai vista come qualcosa di diverso da una cortigiana, nonostante quanto avesse fatto per lui.

Meredith… Aurelle sapeva che la maitresse della Casa dei Sospiri agiva sempre nell’interesse dell’equilibrio, del regno e della Casa, che cercava sempre di proteggere le donne e gli uomini che la servivano. Aurelle non poteva biasimarla per aver preso i soldi del duca, sapendo che se la missione fosse riuscita, la Casa dei Sospiri avrebbe acquisito una certa influenza su di lui.

Ma poteva dare la colpa al Duca Viris e a suo figlio. Probabilmente, lui pensava che Aurelle fosse stupida e incapace di capire i suoi piani. Il suo desiderio di destabilizzare la famiglia reale e, allo stesso tempo, di spingere Finnal sempre più in alto era così ovvio, visto cosa stava succedendo. Il fatto che uomini come lui così spesso la pensassero in quel modo, era almeno una delle ragioni per cui la Casa dei Sospiri era così brava in quello che faceva.

Greave era diverso… non l’aveva vista in quel modo, e quel pensiero bastò a far correre una nuova ondata di dolore attraverso Aurelle. Lui era stato l’unico ad averla amata per quello che era e non per quello che poteva fare per lui. L’unico ad averla mai amata, e ora se n’era andato.

Aurelle restò lì in piedi, sentendosi del tutto vuota, mentre Astare scompariva in lontananza. Non sapeva cosa avrebbe fatto ora, né dove sarebbe andata una volta tornata a Royalsport. Non voleva dire al Duca Viris che ci era riuscita, che tutti i suoi piani stavano andando a buon fine.

Capì quello che voleva fare invece; era stupido, pericoloso e probabilmente l’avrebbe fatta finire in più guai di quanti potesse sperare di superare. Se solo fosse tornata indietro e avesse finto di aver svolto il lavoro alla perfezione, sarebbe stata ben pagata e magari avrebbe anche acquisito una posizione di potere in tutto ciò.

Aurelle non voleva fare nulla di tutto questo. Non sopportava il pensiero di un mondo in cui Greave non c’era più, ma in cui Finnal era salito al potere mentre il Duca Viris sorrideva sullo sfondo; la faceva sentire come avesse delle unghie conficcate nella pelle che procedevano a squarciarla. Non sopportava quel pensiero… quindi perché non fare qualcosa al riguardo?

Quello che stava contemplando non avrebbe riportato indietro Greave. Non avrebbe disfatto nessuno dei danni che aveva contribuito ad arrecare al mondo, non avrebbe sistemato le cose, ma forse, solo forse, avrebbe reso il mondo un posto migliore.

Li avrebbe uccisi entrambi.




CAPITOLO OTTAVO


L’acqua sbatteva Renard, scaraventandolo a destra e a sinistra come un marito che era tornato prima del previsto, cosicché sembrava rimbalzare fuori dall’acqua stessa. Era un uomo grande e grosso, ma la corrente lo lanciava come un giocattolo, spostando il suo peso come se fosse nulla.

Si impigliò nel mantello che indossava, facendolo diventare un peso di piombo intorno alle sue spalle. Sbrindellò l’indumento, togliendoselo di dosso, ma la fibbia si impigliò nel rosso dei suoi capelli, tenendolo in posizione mentre si lacerava contro una roccia. Si strappò una ciocca di capelli chiari e si liberò, spinto in avanti dalla corrente.

Lottò per tornare in superficie, cercando di ricordarsi perché gli era sembrata una buona idea gettarsi in acqua. Venne su, riuscì a prendere fiato e ricordò tutto quando vide la grande massa rossa del drago che indugiava in lontananza. Rispetto a essere bruciato vivo, cos’era un po’ d’acqua?

Il fiume rispose, trascinandolo di nuovo sotto, spingendolo con una velocitГ  maggiore di quella che Renard avrebbe mai potuto raggiungere fuggendo a cavallo. UrtГІ delle rocce, sentendole sbattere contro le sue costole, e dovette usare le braccia e le gambe per allontanarsi dalla peggiore di esse prima che potesse inciderlo.

L’unica consolazione era che peggio di così non poteva andare.

Tornò in superficie e si pentì subito anche solo di averlo pensato. Davanti a lui, l’acqua cedeva il passo a spruzzi e schiuma, mentre il fiume sembrava semplicemente scomparire al di là degli spuntoni di alcune rocce. Una cascata o una diga giaceva davanti a lui, e Renard non voleva davvero scoprire passandoci sopra quale delle due fosse.

NuotГІ verso la riva, non volendo affrontare il fiume in maniera diretta, ma trascinandosi in posizione angolare. Si rese conto, grazie a due primi colpi, che non avrebbe funzionato. Il fiume era troppo forte e lo trascinava troppo velocemente. Adesso, Renard doveva scegliere se rischiare di andare oltre il bordo oppure schiantarsi contro le rocce che poteva vedere; ma, del resto, di recente, sembrava che tutta la sua vita fosse diventata un bivio fra due scelte di quel tipo.

Renard intuì che la maggior parte delle persone avrebbe scelto le rocce, cercando di aggrapparsi a esse per evitare di affrontare la cascata. Probabilmente, come risultato, sarebbero stati colpiti a morte da esse, ma Renard non era mai stato fra quelli che si aggrappavano all’opzione sicura. Nuotò verso il passaggio tra esse, si prese un momento per osservare il precipizio che si estendeva per un centinaio di metri o più fino al fiume sottostante, e poi stava cadendo.

Trasformò la caduta in un’immersione come meglio poteva, ma nonostante ciò, l’eleganza non aveva molto a che vedere con il modo in cui cadde nelle acque che lo aspettavano. Laggiù c’era una piscina circolare, e doveva solo sperare che fosse abbastanza profonda, o la sua caduta sarebbe finita all’improvviso.

Allungò le mani, dividendo l’acqua a metà mentre la colpiva con un impatto che gli fece stridere le ossa. Inarcò la schiena, cercando di rendere la sua immersione più debole, ma anche così, colpì il fondale della piscina con una forza sufficiente a togliergli il respiro.

Sopra, Renard vedeva la superficie come un cerchio di luce che sembrava troppo lontano per allungare una mano e poterlo toccare. Gli stavano giГ  iniziando a bruciare i polmoni e dovette lottare per non prendere fiato mentre si avviava verso la luce.

Sembrò volerci un’eternità per arrivarci. La sua vista cominciò a oscurarsi e la pressione ad accumularsi nella sua testa, fino a quando sembrò potesse esplodergli. Presto avrebbe ripreso a respirare, che lo volesse o no, e questo avrebbe significato che l’acqua gli si sarebbe riversata dentro, affogandolo…

Renard irruppe in superficie, ansimando in cerca d’aria. Alzò lo sguardo e vide la cascata fragorosa che svettava sopra di lui; da laggiù sembrava ancora più alta di come gli era parsa nella caduta. L’acqua precipitava violenta intorno a lui e, in quel preciso momento, gli sembrava la cosa più rinfrescante del mondo, perché significava che era vivo.

“Sono vivo!” gridò al mondo, forse in una mossa stupida, dato che aveva già stabilito con sua soddisfazione che gli dei si stavano divertendo un sacco a tormentarlo. Partì a nuoto verso il bordo della piscina.

Quando lo raggiunse, si trascinò fuori dall’acqua e su una sponda rocciosa, inzuppato fino alla pelle ed esausto. Rimase sdraiato lì per quella che parve un’eternità, mentre il sole batteva così forte da fargli sembrare che l’acqua evaporasse da lui.

Controllò i suoi averi, cercando di capire cosa fosse sopravvissuto al viaggio fino alla valle del fiume. Non aveva una spada, ma aveva ancora un lungo coltello legato all’anca. Il suo sacchetto di monete era sopravvissuto, il che significava che aveva ancora un bel po’ di soldi grazie all’amuleto che aveva venduto a Geertstown.

Renard sapeva senza guardare che l’amuleto era ancora lì. Poteva sentirlo tirare ai margini della sua esistenza e succhiargli la vita a poco a poco. In quel momento, si sentiva ammaccato e ferito, esausto e a malapena in grado di riprendere fiato. Tuttavia, riusciva a sentire qualcosa di molto più insidioso sotto a tutto ciò, mentre l’amuleto gli toglieva la vita.

PerchГ© non era giГ  morto? Renard non era qualcuno che in condizioni normali si sarebbe posto una domanda del genere, perchГ© sembrava solo un invito per il peggio, ma in quel momento non poteva fare a meno di chiederselo. Non poteva fare altro che riflettere, dato che nonostante fosse consapevole che vi fosse un drago da qualche parte in lontananza, che forse lo perseguitava, era troppo esausto per muoversi in quel momento.

Il ricettatore a cui aveva venduto l’amuleto era morto nel giro di neanche un’ora, così prosciugato da sembrare a malapena umano. Sì, l’uomo era vecchio, ma Renard non riusciva a credere che questo potesse bastare a fare una simile differenza. C’era qualcos’altro che non capiva.

Alla fine, riuscì a spingersi in posizione seduta e poi in piedi. Sapeva senza che gli venisse detto cosa doveva fare, lo sapeva dal momento in cui aveva rubato l’amuleto a Geertstown: gli serviva l’aiuto di uno stregone.

Il problema era sempre lo stesso. Gli stregoni erano tutt’altro che comuni, e trovare qualcuno che sapesse abbastanza di magia da trattare con un amuleto di cui anche gli Invisibili, nonostante il loro terribile potere, avevano paura… Come poteva sperare di trovare un uomo che potesse farlo?

Renard cominciГІ a camminare, con i vestiti che gocciolavano a ogni passo. Aveva fatto una dozzina di passi prima di realizzare da che parte stava andando. La posizione del sole gli diede la risposta. Stava andando verso est, in direzione di Royalsport.

Sapeva che era una mossa stupida, perché tutte le voci a Geertstown sostenevano che la guerra stava dilaniando l’est. Una città piena di ladri e contrabbandieri appariva adesso un rifugio sicuro, rispetto a quello che stava avendo luogo nel resto del regno.

Certo, una discreta parte di Geertstown era adesso in fiamme, a causa del drago che era andato a cercare l’amuleto.

Renard lo estrasse, fissandolo. Un frammento di squama di drago giaceva al centro di una montatura ottagonale e ogni lato esibiva una gemma di colore diverso, che brillava alla luce del sole.

“Avrei dovuto lasciarti indietro,” disse Renard all’amuleto. “Ma quando ho mai fatto la cosa giusta?”

In questo caso l’aveva fatta, però. Se l’era ripreso a causa di tutti i danni che avrebbe altrimenti potuto provocare, e perché l’alternativa era che qualcosa di così potente finisse nelle mani degli Invisibili. Quella motivazione era stata già di per sé sufficiente a far fare a Renard il doppio gioco con le persone che potevano farlo a pezzi con la magia.

Un viaggio a Royalsport per trovare uno stregone non era niente in confronto a questo. Sapeva di chi aveva bisogno, perché c’era solo un uomo che poteva aiutarlo in una cosa del genere: lo stregone del re, il Maestro Grey. Doveva andare da lui, anche se questo significava intrufolarsi in qualsiasi violenza vi fosse là fuori, a est, e chiedergli aiuto.

Questo, oppure mettergli in mano l’amuleto e scappare, sperando che bastasse a spezzare la connessione e che il mago sapesse cosa fare.

Ad ogni modo, Renard continuò a camminare, lungo quel terreno roccioso; proseguì nella speranza di trovare una strada. Quando individuò un sentiero, lo seguì fino al punto in cui sfociava in una strada più ampia e proseguì ancora.

Giunse al villaggio successivo prima di permettersi di guardare indietro; fu il pensiero di ciò che poteva essere in agguato lì a fargli tenere gli occhi incollati in avanti così a lungo. Alla fine, però, Renard non poté farne a meno. Si guardò alle spalle, guizzando con gli occhi dalla terra al cielo.

Non passò molto tempo prima che trovasse ciò che cercava. Non era più grande di un puntino adesso, ma c’era; e Renard comprese che non si sarebbe fermato in quel villaggio, né in qualsiasi altro, più a lungo di quanto ci avrebbe messo a rubare un cavallo.

Il drago era sospeso in lontananza, volava lento sulla sua scia, e Renard sapeva che se non avesse raggiunto lo stregone al piГ№ presto, lo avrebbe provato di nuovo a carbonizzare, guerra o non guerra.




CAPITOLO NONO


Nerra fissò l’immensa mole scura del drago che svettava sopra di lei, ed era certa che sarebbe morta. Il giallo intenso e profondo dei suoi occhi era tutto concentrato su di lei, fissandola come stesse cercando di capire con quanta facilità potesse divorarla.

I resti di quella colonia distrutta che la circondavano le dicevano che sarebbe bastato un solo sfarfallio del suo respiro per annientarla. Eppure, stranamente, la cosa che piГ№ le riempiva il cuore in quel momento non era terrore ma fascino.

Rispetto al drago di cui aveva trovato l’uovo, questo era enorme, lucido e scuro, ma guardando meglio, Nerra si accorse che il nero delle sue squame era in realtà composto da una dozzina di sfumature e tonalità diverse, dal grigio più chiaro al nero profondo del catrame e delle ombre del cielo notturno. Le sue squame erano così ampie da sembrare placche di un’armatura sul suo lato inferiore; gli unici spruzzi di colore sulla creatura erano il giallo dei suoi occhi e il rosso profondo dell’interno della bocca che il drago spalancò.

Sparò fiamme accanto a Nerra, e questo mise il terrore di nuovo in primo piano nella sua mente. Si voltò e corse via, inciampando tra i rottami della colonia in rovina, dirigendosi verso gli alberi piuttosto che verso le rocce scure del terreno aperto, pensando che niente di così grande potesse passare tra essi.

Nerra udì un ruggito alle sue spalle e continuò a correre.

Ora si trovava nella giungla sulla parte interna dell’isola e il sole si intravedeva tra le chiome, mentre lei continuava a procedere. Le piante che le passavano davanti agli occhi mentre correva non avevano niente in comune con quelle che aveva visto vicino a casa, rigogliose e verdi, dai colori vivaci e dai profumi che le inondavano le narici. Quella scarica travolgente era davvero dovuta al fatto che fossero molto più pungenti delle altre piante, o aveva più a che vedere con ciò che era diventata?

In alto, persino attraverso gli alberi, Nerra riusciva a scorgere l’ombra del drago che volava in cielo; grande e maestoso, teneva il passo senza difficoltà. Nerra non poteva fare a meno di fissarlo, scissa tra il terrore che provava al pensiero di un predatore così enorme sopra di lei e il suo apprezzamento per l’eleganza con cui tagliava l’aria. Sembrava librarsi in volo e fluttuare in cielo, sbattendo a malapena le sue gigantesche ali; la fiamma che emetteva nello spazio davanti a sé, produceva correnti d’aria termiche che facilitavano il suo volo.

Aspetta, come faceva Nerra a saperlo? Aveva visto il suo drago, certo, e aveva avvertito un certo legame con lui, ma non sapeva niente di come funzionassero i loro corpi o di cosa significasse essere




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